Il colloquio di selezione è un fattore importante nel processo di selezione di nuovi collaboratori. A tutti prima o poi è capitato quel recruiter che ha posto domande imbarazzanti o non attinenti alla posizione per cui ci si candida: parliamo di tutte quelle domande legate alla nostra vita privata.
Sei nel bel mezzo di un colloquio di lavoro e ti chiedono: “Stato civile? Figli? Di che religione sei?”.
Sono domande a cui dobbiamo davvero rispondere?
No, non devi rispondere perché sono domande discriminatorie e violano anche la tua privacy. La risposta che dai potrebbe determinare la scelta del candidato.
Non sono ammesse tutte quelle domande che possono discriminarti per religione, convinzioni personali, disabilità, età, orientamento sessuale, genere, stato civile, gravidanza e salute.
Ecco qualche esempio di domande discriminanti che non possono mai essere poste e che sono vietate dalla legge per tutelare i diritti del candidato, le pari opportunità e la privacy.
Sei sposato/a? Hai figli? Ne vorresti in futuro?
Domanda che lede la privacy ma anche discriminante – art. 27 del Codice delle Pari Opportunità.
““È vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale”.” (“L. 9 dicembre 1977, n. 903 Parità di trattamento tra …”) [cliclavoro.gov.it]
Sempre lo stesso articolo, prevede che non si possano chiedere informazioni sullo stato civile, sulla presenza o meno di figli in famiglia o sulla volontà di averne in futuro. Domande di questo genere, non hanno nessuna attinenza con la posizione lavorativa.
Di che partito sei? Qual è la tua religione? Di che nazionalità sei?
La prima domanda che mi faccio è “che attinenza ha con la posizione xxx per cui mi sono candidata?” La legge vieta espressamente di chiedere l’appartenenza politica o la fede religiosa dei candidati. Anche domande che legate alla provenienza o all’etnia sono bannate per evitare discriminazione.
Il Dlgs 215/2003 – attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone – vieta di chiedere, durante un colloquio di lavoro, informazioni sull’ideologia politica, sulla fede religiosa e sulla nazionalità.
Lo Statuto dei diritti dei lavoratori vieta di porre domande circa l’appartenenza politica o ad organizzazioni sindacali:
È fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore”.
Statuto dei lavoratori
Domande sull’orientamento sessuale e sulla tua salute psicofisica
Il DGLS 216/2003 garantisce la parità di trattamento e vieta le discriminazioni religiose, per motivi personali, disabilità, età ed orientamento sessuale.
Il DGLS 276/03 protegge contro le discriminazioni sullo stato psicofisico dei candidati.
Come tutelarsi e come affrontare queste domande?
Non è raro sentire, per esempio, di donne discriminate perché avevano figli o ne avrebbero voluti. Come tutelarsi? Cosa fare?
L’unico obiettivo del colloquio di lavoro deve essere quello di capire se il candidato abbia o meno l’esperienza lavorativa adatta a ricoprire la posizione, studi adeguati e mindset compatibile con la cultura aziendale (ovvero capire se si è culture fit).
A volte, qualcuna di queste domande può essere posta in buona fede. Tuttavia, il candidato può rifiutare di rispondere a domande non inerenti alla posizione per cui si candidata e l’ambito lavorativo.